La Repubblica ideale
Articolo da "La Repubblica " del 2 dicembre 2005
La maggior parte di loro ha intorno ai 40 anni. Sono colte e seguono la squadra del cuore fin dall´infanzia. In Italia 40 club al femminile
E in curva i cori delle ragazze ultrà
Donne e calcio, il boom delle tifose. Una ricerca della Sapienza
Madri di famiglia che si fanno chiamare monelle, pantere, diavolesse
"Un giorno dissi a mio padre: portami con te domenica, ti chiedo solo questo"
MARINA CAVALLIERI
ROMA - «Mi ricordo la prima volta, era una partita di coppa, forse era con il Celtic, faceva freddo, c´era la neve, i genitori ci avevano portato una coperta per coprirci... ». «...Ero piccola, in casa non c´era la tv, andavo al bar del paese per vedere le partite, c´erano solo uomini». «...Un giorno dissi a mio padre: portami con te la domenica, ti chiedo solo questo». C´è per tutte un ricordo indelebile stampato nella mente, un´emozione, un brivido fatto di folla e gioia esplosiva, la prima volta allo stadio nessuna l´ha dimenticata. Qualcuna dice: «...Spero di non perdere mai la memoria, di non scordare mai quella sensazione». Donne e calcio: un legame intenso, passionale, forte più di quanto non si creda. Perché non ci sono solo le Ferilli, le Fini, le Falchi, le Berlusconi, non c´è solo il glamour della domenica, la passerella delle mogli illustri, ci sono anche tante ragazze e signore anonime che riempiono gli stadi portando la loro voglia di vincere. Sono migliaia le tifose, aumentate negli ultimi anni, frequentano i club, si organizzano, ogni domenica fanno chilometri per l´ebbrezza di un goal, per loro il tifo è una fede, la squadra un pezzo di vita.
Una ricerca dell´università La Sapienza di Roma indaga il mondo poco conosciuto del tifo al femminile. «La maggior parte delle tifose ha dai 35 ai 45 anni, hanno un livello culturale medio alto, lo sono diventate per tradizione familiare, all´inizio c´è sempre un padre, un fratello o un fidanzato», spiega Chiara Di Mauro che ha realizzato la ricerca con la cattedra di Sociologia di Paolo De Nardis. «In genere il tifo femminile è meno individualistico di quello maschile, c´è più condivisione. Diversi sono anche i tempi, gli uomini fanno più gruppo da adolescenti mentre dopo i 35 anni per loro c´è una maggiore dispersione». Le donne invece non mollano. «La nostra è un´associazione che raggruppa circa 40 club femminili, unica in Europa», dice Nella Grossi, 65 anni, commercialista e tifosa del Milan e del Pescara, presidente dell´Anfissc, Associazione femminile italiana sostenitrice squadre calcio. «Ho rinviato la data del matrimonio d´accordo con mio marito per andare a vedere il Milan che giocava con il Real Madrid. Il calcio è sempre stata la mia passione, fin da piccolissima, una partita ti condiziona la giornata, una vittoria ti fa stare tranquilla. Per noi tifose è importante fare del calcio un momento di aggregazione, cerchiamo di portare gioia negli stadi».
Donne allo stadio: secondo l´identikit che traccia la ricerca per le tifose la squadra è più importante dei singoli giocatori, le sostenitrici dei club amano lo spettacolo del calcio ma sanno anche attentamente giudicare il gioco, per tutte il club è un modo per stare insieme. Il tifo poi è passione, estasi, voglia di vincere. Perché le vittorie possono anche aiutare a vivere. «Il mio tifo neroazzurro è nato quando ero bambina, allo stadio ci sono andata prestissimo, già a sette anni», dice Giovanna Porro, tifosa dell´Inter. «Non ho mai smesso di andare allo stadio anche in un periodo brutto della mia vita: una componente che mi ha aiutata a guarire».
«Mi piace il calore della gente, la passione che trasforma, uno dei primi ricordi che ho è di una signora allo stadio molto elegante, molto per bene che si mise a bestemmiare», dice Milva Pedretti, 41 anni che ha fondato a Sondrio il primo club della Juventus. «Allo stadio mi viene ancora la pelle d´oca e la vittoria della Juve a Barcellona è uno dei miei più bei ricordi».
Le tifose anche se sono signore tranquille, madri di famiglia, lavoratrici, per lo stadio hanno scelto nomi più frivoli: si fanno chiamare coccinelle, monelle, zebre, pantere, gatte e leonesse, diavolesse. Ma per loro la trasgressione dello stadio s´intreccia, si salda con gli affetti familiari, è il collante che tiene unita la famiglia. Per qualcuna poi il tifo è una passione che si tramanda di madre in figlia. «Mia madre ha fondato il primo club femminile in Italia e in Europa, nel ‘71», dice con orgoglio Alberta Prandina, tifosa del Milan. «Allora erano veramente in poche. Ora siamo tante negli stadi, forse diverse dagli uomini, perché cerchiamo di capire qualcosa in più dei giocatori, anche quando sbagliano. Il tifo per noi ha anche uno scopo sociale, organizziamo tombolate, raccolta di fondi per beneficenza». Calcio e solidarietà, tifo e socializzazione ma quello che conta è l´ebbrezza della partita, le lacrime e i canti, i sorrisi e gli abbracci, perché il tifo non è solo affare da uomini.
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